Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 220
estate 1995


Rivista Anarchica Online

Contro il fascismo
di Tobia Imperato

Tobia Imperato sta lavorando da tempo ad una ricerca storica su due anarchici torinesi - Ilio Baroni e Dario Canio - attivi nella lotta contro il fascismo. Ecco il capitolo conclusivo del suo libro, a tutt'oggi inedito

Solo in quest'ultimo quindicennio e più massicciamente negli ultimi 5 anni, gli anarchici si sono messi con un certo impegno a studiare e ad analizzare il ruolo da essi svolto durante la resistenza. Un contributo, quello degli anarchici, notevole (per la forza del movimento) anche se non sempre incisivo (eccettuata la zona di Carrara) (1) sul piano di rapporti di forza con le altre correnti dell'antifascismo. Prima di allora sembrava quasi che la lotta al fascismo dei libertari italiani si fosse esaurita nell'intervento a fianco del popolo spagnolo nel '36. La stessa Bianconi lamentava, in una nota all'introduzione del suo libro, che nello "stringato, ma prezioso" libro Un trentennio di attività anarchica (1915-1945) "le pagine dedicate alla resistenza armata sono soltanto otto". A questo "disinteresse" hanno contribuito da una parte una certa aura retorica che fino a qualche anno fa circondava la resistenza (a cui gli anarchici non potevano non dissociarsi vista la loro natura) (2), dall'altra la consapevolezza di essere stati di minoranza (cosa del resto - a parte il caso spagnolo - a cui erano abituati) ma questa volta, impreparata non tanto organizzativamente quanto teoricamente, a svolgere il proprio ruolo (3). I nodi politici, che dopo l'esperienza spagnola si dipanano durante la resistenza e che percorrono il periodo della difficile ripresa del dopoguerra fino all'avvento di nuove leve giovanili avvenute dopo il '68, non sono ancora oggi risolti.
Da qui l'interesse (e lo stupore) con cui militanti anarchici (me compreso) riscoprono che attraverso lo studio del periodo resistenziale non si tratta solo di restituire l'identità libertaria a figure di resistenti altrimenti dimenticate se non addirittura forzatamente "arruolate" in altri partiti, ma anche e soprattutto di ritrovare i capi e di riannodare i fili spezzati di una matassa che inevitabilmente ancora oggi ci avvolge (e ci coinvolge).

Sacrifici e rischi
Nel caso specifico dell'oggetto della mia ricerca, è facilmente verificabile come attraverso la ricostruzione della biografia di due semplici militanti proletari ci si imbatte in tutte le fasi dell'impegno anarchico nella lotta antifascista: antimilitarismo, arditi del popolo, emigrazioni e rapporti con il fuoriuscitismo, lotta clandestina e propaganda, cospirazione antifascista all'estero e rapporti con l'interno, attentati a Mussolini e contro il regime, intervento in Spagna, carcere e confino con relative lotte, stampa clandestina e lotta partigiana. E questo vale per decine di altre storie (per quel che riguarda gli anarchici torinesi) che si intrecciano con centinaia di altre.
Nella lotta contro il fascismo, gli anarchici sono quelli che hanno pagato il prezzo più caro, al pari forse con i comunisti sul piano repressivo (anche se contrariamente a questi ultimi essi non potevano contare sull'aiuto della "grande patria sovietica") (4) ma molto più elevato sul piano politico riducendosi da un ruolo di centralità all'interno del movimento operaio durante il "biennio rosso" ad un ruolo del tutto marginale nel dopoguerra.
"Abbiamo letto spesso nei fogli politici dei partiti aderenti al CNL e in quelli sindacali della risorta CGL, che i partiti fondamentali in Italia sono il socialista, comunista, cattolico, liberale, ecc. Non una volta si è parlato degli anarchici in una tacita e voluta congiura del silenzio (5). Eppure non sarebbe stato difficile ricordare ai manipolatori del CNL in gran parte ex-confinati ed ex-carcerati che ne periodo della lotta antifascista che va dal '21 al '43 nelle isole e nelle carceri italiane gli anarchici erano il gruppo più numeroso dopo quello comunista. Molti membri di tali partiti "fondamentali" erano allora in benevola attesa se non addirittura di complicità col fascismo come nel caso della maggior parte dei cattolici e dei liberali" (da Umanità Nova n. 349 - 22 ottobre 1944) (6).
Già un secolo prima (durante l'insurrezione di Lione del 1848) i repubblicani dissero di Bakunin: "un uomo eccezionale. Assolutamente meraviglioso il primo giorno della rivoluzione. Il secondo, però, bisognerebbe fucilarlo" (7). Allo stesso modo gli anarchici, utili alleati del giorno prima (con GL nell'esilio e in Spagna, con i comunisti e i socialisti nella resistenza) vengono "eliminati" dalla memoria storica persino nel corso degli eventi stessi. Gli anarchici furono i primi a comprendere appieno la natura liberticida del fascismo e ad opporvisi strenuamente; mentre i socialisti si trastullavano con il patto di pacificazione, i cattolici erano bloccati dalla stipulazione dei patti lateranensi e i comunisti, per voce del loro massimo dirigente Palmiro Togliatti, continuavano ad appellarsi per un ritorno "indolore" alla normalità (8), gli anarchici continuarono imperterriti, senza tentennamenti, a lottare "senza tregua".
"A coronamento di una lunga serie di delitti il fascismo si è infine insediato al governo", "In quanto a noi non abbiamo che da continuare la nostra battagli a sempre piena di fede, di entusiasmo. Noi sappiamo che la nostra vita è seminata da triboli, ma lo scegliemmo e volontariamente e non abbiamo ragione per abbandonarla" (9).
Dalle prime analisi sulla funzione antiproletaria del fascismo esposta negli editoriali di Malatesta su Umanità Nova e in modo più sistematico nel saggio di Luigi Fabbri "La contro-rivoluzione preventiva" avremo successivamente negli scritti di Camillo Berneri un superamento dell'interpretazione del fascismo inteso come "braccio armato della borghesia" per arrivare alla concezione dello stato totalitario, analisi teorica che porterà Berneri, in piena rivoluzione spagnola e durante la contro-rivoluzione stalinista, ad equiparare nel concetto di totalitarismo, fascismo e comunismo sovietico.
"Presa tra i prussiani e Versailles la Comune accese un incendio che ancora illumina il mondo. Tra Burges e Madrid vi è Barcellona rivoluzionaria. Ci pensino i Godet di Mosca!" (da Guerra di Classe, Barcellona n. 6 - dicembre 1936) e successivamente in modo più consapevole, "La guerra civile di Spagna ha due fronti politico-sociali. La rivoluzione deve vincere su due fronti. E vincerà" (da Guerra di Classe, n. 15 - 5 maggio 1937).
Con la rivoluzione spagnola, tutta una serie di nuovi problemi si pongono per il proseguimento dell'azione anarchica. Primo fra tutti il problema delle alleanze che, da sempre problema spinoso per gli anarchici e causa di polemiche e divisioni, si ripropone ora con scottante attualità.
Che fare? Rimanere isolati pur essendo parte di uno scontro generale o unirsi ad altre forze politiche che poi (come nel caso dei comunisti, fautori di una concezione totalitaria) si riveleranno acerrimi nemici dell'anarchismo? Attaccare apertamente i nemici della libertà rompendo l'unità del fronte antifascista o subire passivamente se non addirittura annullare la propria identità perseguendo l'obbiettivo prioritario della vittoria sul fascismo?
Secondo grande problema fu la partecipazione al governo e la conseguente perdita del "controllo rivoluzionario" della situazione da parte dei libertari spagnoli, nonostante un rapporto di forza maggioritario in gran parte delle regioni non conquistate da Franco (problema che si ripropone, in misura minore, durante la resistenza con l collaborazione ai vari CNL).
Berneri ebbe chiara coscienza di questa problematica, che espresse apertamente nella sua "Lettera aperta alla compagna Federica Montseny" pubblicata, suscitando grande fastidio negli ambienti stalinisti, in Guerra di Classe.
La notte del 5 maggio del '37 viene prelevato in casa e assassinato per strada assieme al compagno Francesco Barbieri, da emissari del PSUC (Partito Socialista Unificato Catalano, controllato dagli stalinisti).
L'uccisione di Berneri rappresenta la precisa volontà da parte comunista di decapitare il movimento anarchico italiano nella sua figura più carismatica e rappresentativa, oltre che sul piano politico anche su quello teorico e intellettuale (10).
Già nel '35 Togliatti aveva affermato: "Noi dobbiamo distruggere le basi di massa dell'anarchismo" (11).

Anche contro il franchismo
Alla fine degli anni trenta la situazione del movimento anarchico è veramente tragica. La maggior parte dei militanti dispersa tra carcere, confino o campo di concentramento, alcuni impossibilitati a rientrare perché clandestini in un'Europa ormai conquistata dal nazismo, altri emigrati negli USA o in sudamerica.
Il problema più grave è il mancato ricambio di militanti con forze "fresche". Gli anarchici non riescono (a differenza dei comunisti) a riprodursi, creandosi una base giovanile.
Un dato che emerge anche dallo studio della resistenza (a Torino, ma che si può estendere a tutta l'Italia, se si escludono talune "isole") è che l'età media dei militanti libertari si aggira intorno ai 40 anni (anche se la maggior parte delle fonti è di natura poliziesca e i nuovi aderenti molto probabilmente non erano ancora schedati). Comunque, la mancanza di rincalzi di una certa consistenza è un dato di fatto incontrovertibile (12).
Il peso di questa mancanza si farà ancora sentire negli anni '70 quando la vecchia generazione passerà le consegne e la propria eredità spirituale alla generazione pre e post-sessantotto, in assenza di una generazione intermedia.
Certo non furono solo le cause esterne (anche se influirono pesantemente) ad impedire un rinnovarsi dei militanti, senz'altro vi furono anche cause strutturali.
La frammentarietà e la mancanza di rigide organizzazioni, tipiche degli anarchici, se da un lato svolsero un effetto positivo nella formazione dello spirito critico dei militanti (13), dall'altro impedirono la creazione di un blocco alternativo libertario capace di opporsi al mito della rivoluzione russa prima e dell'eroica resistenza sovietica poi (14).
Dopo l'8 settembre, il movimento anarchico si ritrovò, come il resto dell'Italia diviso in due. Senz'altro la scelta per gli anarchici residenti al sud fu più facile. Essi ripresero immediatamente a ricostruir il proprio tessuto organizzativo iniziando a stampare manifesti, giornali e opuscoli e subendo le prime persecuzioni politiche dell'Italia "libera". Evidentemente nel disegno alleato di riportare la democrazia, non erano compresi gli anarchici. Valga per tutti, anche se non è il solo, il caso dell'anarchico fiorentino Lato Latini responsabile di Umanità Nova di cui vennero stampati 15 numeri (il primo è del settembre '43) e che, limitatamente alla Toscana, aveva raggiunto la tiratura di 8.000 copie, condannato dalle "autorità alleate" a 5 anni di reclusione per stampa clandestina, pena poi ridotta in appello a 1 anno interamente scontato (questo con il beneplacito dei CNL) (15).
Per gli anarchici residenti al nord, invece, si pose il problema se e come partecipare alla lotta partigiana. Un certo numero di essi si rifiutò di prendere parte attiva alla resistenza con motivazioni diverse:rifiuto di collaborare con i comunisti; rifiuti di essere gli "strumenti inconsapevoli" di una guerra fra stati; rifiuto di partecipare ad una guerra di liberazione nazionale che non aveva finalità rivoluzionarie; rifiuto di combattere i tedeschi in quanto tali (il nemico era il nazismo e non il popolo tedesco); rifiuto di usare la violenza (lotta armata) come fattore evolutivo della trasformazione sociale (16).
Posizioni rispettabili poiché espresse non da "combattenti dell'ultima ora" ma da "veterani£ della guerra al fascismo che per vent'anni non si erano certo risparmiati tra sacrifici e rischi.

I rapporti con i comunisti
Comunque lo spirito combattivo prevale nella maggior parte di loro che non videro davanti a sé altra strada che quella di gettarsi nuovamente nell'azione.
Nei luoghi dove era possibile (Carrara, Genova e Milano per citare i più importanti) vengono costituite formazioni specificatamente libertarie, in altre zone entreranno, in alcuni casi individualmente in altri in gruppo, nelle Garibaldi, nella Matteotti, nelle GL, ma anche in formazioni autonome.
Più di 100 saranno i caduti e non son pochi per un movimento che non aveva, per le ragioni sopra citate, un seguito di massa (17).
Anche a Torino, come abbiamo visto, la maggior parte degli anarchici aderì alla lotta partigiana, anche se vi furono delle defezioni, come attesta l'editoriale "Fra noi" del numero 2 di Era Nuova del novembre '44: "Qualche compagno ha espresso il suo disappunto per l'indirizzo preso da Era Nuova. Il giornale dovrebbe essere più intransigente e, disdegnando la collaborazione con altri partiti e movimenti rivoluzionari, curarsi unicamente della propaganda anarchica, anche a costo di rimanere isolati. Per quanto questi compagni non siano numerosi noi, secondo le abitudini libertarie, teniamo conto delle loro scelte, ma riteniamo che essi abbiano torto" (18).-L'ispiratore di questo "disappunto" penso sia stato, anche per le posizioni da lui assunte successivamente, Ilario Margherita (19).
Ma quali furono le motivazioni dei partigiani anarchici?
Senz'altro essi, anche se si trovavano in una situazione insurrezionale, non si illusero di partecipare ad una rivoluzione ma furono coscienti di prendere parte ad una lotta il cui unico scopo era l'abbattimento del fascismo a cui avrebbe seguito una repubblica "democratica". Essi scelsero di battersi per il "male minore" anche se nelle loro aspettative (come attesta la pubblicistica dell'epoca) vi era la speranza che le masse, rese coscienti dell'esperienza della lotta partigiana, avrebbero finito con l'imporre obbiettivi sempre più avanzati sul piano delle conquiste sociali. In questa ottica quindi, la presenza dei libertari nel movimento generale assumeva una grande importanza nel tentativo di impedire l'egemonia comunista.
La resistenza non fu una rivoluzione contro il capitale ma, nei fatti e nelle intenzioni dei vari CLN che la diressero, solo una guerra di liberazione nazionale.
"Il movimento della resistenza affonda le sue radici negli stessi ideali del risorgimento e ne ha adottato persino gli insegnamenti di lotta armata. Tutta la tradizione garibaldina, gli stessi insegnamenti di Pisacane sulla lotta in banda erano più che mai vivi e fecondi al formarsi della resistenza" (20).
Il mito della "resistenza tradita" è un mito successivo partorito da frange resistenziali "deluse" dalla piega degli avvenimenti presa nel dopoguerra. Molti militanti di base (soprattutto comunisti) si sentirono "traditi" dai propri dirigenti quando Togliatti amnistiò la maggior parte dei criminali fascisti lasciando in carcere i partigiani che erano accusati come criminali comuni per azioni antifasciste (21).
Un altro aspetto interessante da analizzare, poiché valuta gli avvenimenti da una diversa angolazione,è quello di considerare la lotta partigiana nella sua globalità come una grande "esperienza libertaria " collettiva, al di là della colorazione politica dei vari resistenti (un po' come si sono interpretati in tempi più recenti i movimenti del '68 e del '77).
Stimolante a questo proposito sono gli articoli di Paolo Gobetti: "E' difficile descrivere la gioia di trovarsi in giro per le montagne; con un fucile in mano, in un mondo in cui non esiste più un'organizzazione statale, in cui non esiste più il potere (che è sempre degli altri) e non esiste perché non lo conosci più, e sai che puoi prendertelo come vuoi, purché tu sia deciso,abbia coraggio e vada d'accordo con gli altri; appunto ti senti vicino ad altri giovani che credono come te alla possibilità di costruire qualcosa che vada meglio, che istituzionalizzi la mancanza di potere, e di distruggere anche l'ultima traccia di un passato che non è mai stato tuo" (22).
Queste tesi, senza nulla togliere all'entusiasmo dell'autore per le proprie esperienze giovanili di lotta (a cui è difficile sottrarsi), pur interpretando correttamente lo spirito delle varie adesioni individuali alla lotta partigiana, non sono sufficienti a spiegare come mai successivamente la maggioranza di questi "giovani" ribelli non abbiano conservato questo modo di sentire, accettando supinamente tutte le svolte e i "tradimenti" dei vari dirigenti. Forse il fardello delle ideologie è in grado di affossare ogni tentativo di vivere (sempre per usare le parole di Gobetti) "un viaggio senza domani nell'utopia".
Come afferma Bianconi "Gli antifascisti militanti traevano impulso e motivo per la lotta antifascista proprio dalla loro estrema qualificazione: il fascismo li aveva condannati, imprigionati, confinati non solo perché anti, ma per il loro essere comunisti, socialisti, giellisti, anarchici" (23).
Gli anarchici lottarono contro il fascismo fin dal suo nascere e continuarono imperterriti fino alla sua sconfitta e oltre.
Non a caso, quando il 30 agosto del '57 a Barcellona la polizia franchista uccide in un agguato il guerrigliero anarchico Jose Luis Facerias, in un altro componente della "banda" arrestato il giorno precedente viene identificato l'anarchico italiano Goliardo Fiaschi, combattente partigiano nella formazione Michele Schirru e giunto appositamente in Francia per combattere il fascismo a fianco dei compagni spagnoli.

(1) A Carrara nel dopoguerra, per la forza del loro numero, gli anarchici riuscirono a imporsi sul piano locale e incisero sul territorio soprattutto con la costituzione di diverse cooperative di partigiani (vedi Gino Cerrito Gli anarchici nella resistenza apuana, Pacini Fazzi, Lucca 1984)
(2) Diversi partigiani anarchici rifiutarono medaglie e onorificenza "ufficiali" per azioni di eroismo
(3) Sul problema relativo alle carenze teoriche dell'anarchismo in Spagna e sui tentativi di uscire dall'impasse di C. Berneri, vedi Nico Berti Sull'anarchismo di Berneri e il problema del revisionismo in Camillo Berneri nel 50° anniversario della morte, Ed. Archivio famiglia Berneri, Pistoia 1986
(4) I pochi anarchici che per sfuggire alle persecuzioni fasciste ripararono in Russia, morirono poi nei lager staliniani (vedi Giorgio Sacchetti Otello Gaggi vittima del fascismo e dello stalinismo, Ed. Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1992 e C. Jacquier L'Affaire Francesco Ghezzi. La vie et la mort de un anarche-syndacaliste italien en URSS in Annali dell'Istituto Milanese di Storia e Resistenza del Movimento Operaio, n.2 1993)
(5) Congiura che dura tutt'oggi da parte di numerosi storici del movimento operaio (vedi Marcello Zane Le dimenticanze di Clio in Rivista storica dell'anarchismo BFS, Pisa 1995, anno 2 n.1)
(6) In La resistenza sconosciuta, op. cit.
(7) a cura di Francesco Natali Bakunin l'anarchico che sfida tutte le polizie del mondo Mondadori, Verona 1974
(8) "Diamoci la mano, figli della nazione italiana! Diamoci la mano fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni. Diamoci la mano e marciamo fianco a fianco per strappare il diritto di essere cittadini di un paese civile quale è il nostro" (P. Togliatti in Stato Operaio agosto 1936 - nello stesso mese anarchici e giellisti italiani prendevano posizione sul fronte aragonese e il 28 riportavano la prima vittoria militare a Monte Pelato respingendo l'attacco di preponderanti forze fasciste protette da autoblindo)
(9) Errico Malatesta Pagine di lotta quotidiana vol. II Ed. del Risveglio, Ginevra 1935 (reprint a cura del movimento anarchico italiano, Carrara 1975
(10) Su Berneri, oltre a C. Berneri nel 50° anniversario della morte, cit. vedi Atti del convegno di studi su C. Berneri (Milano 9 ottobre 1977) cooperativa tipolitografica editrice Carrara 1979 - Francisco Madrid Santos C. Berneri un anarchico italiano archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1985 - Numerosi sono gli scritti di Berneri; per quel che riguarda i temi trattati vedi Pietrogrado 1917 Barcellona 1937; scritti scelti di C. Berneri, Sugar Milano 1964. C. Berneri Epistolario inedito 2 vol. ed. archivio Famiglia Berneri Pistoia 1980-84 - C. Berneri Mussolini normalizzatore e Delirio razzista, ed. Archivio famiglia Berneri Pistoia 1986
(11) P. Togliatti, Opere vol. III Roma 1973 pag. 663 e seguenti (citato da Gigi di Lembe in L'Europa tra guerra di stato e guerra di classe in L'antifascismo rivoluzionario, op. cit.)
(12) "Gli anarchici, numerosi al principio, ma con tendenza a diminuire perché le loro fila non si rinnovavano più in Italia..." Altiero Spinelli Gli antifascisti in galera in Lezioni sull'antifascismo
(13) Sul differente modo di porsi di fronte alle direttive dei propri leaders degli anarchici italiani e spagnoli abituati ad una più rigida "disciplina organizzativa", vedi Claudio Venza Tra rivoluzione e guerra: libertari italiani nella Spagna degli anni Trenta in La resistenza sconosciuta, op. cit.
(14) vedi Gigi di Lembo, op. cit.
(15) La resistenza sconosciuta, op. cit. - Leonardo Bettini Bibliografia dell'anarchismo vol. I, Cp editrice, Firenze 1972
(16) Ogni rivoluzione, oltre agli aspetti "esaltanti", presenta sempre degli aspetti "sgradevoli", quasi sempre taciuti dai protagonisti nel timore di sminuire il valore dell'evento. Sul problema delle fucilazioni durante la lotta partigiana, vedi le testimonianze di Nuto Revelli e Guido Quazza nel film Le prime bande di Paolo Gobetti, riportate anche nella sceneggiatura ne Il nuovo spettatore, Torino novembre 1983
(17) Marco Rossi, op. cit. pag. 98 e segg.
(18) La resistenza sconosciuta, op. cit.
(19) vedi cap. I nota 5
(20) Ugo Fedeli Il ventennio, quaderni del Centro Culturale Olivetti,1960 - vedi anche Franco Della Peruta L'insurrezione: la teoria, la tradizione, l'attuazione in L'insurrezione in Piemonte op. cit.
(21) Come è il caso dei partigiani anarchici Belgrado Pedrini e Giovanni Mariga di Carrara arrestati nell'immediato dopoguerra e liberati solo negli anni Settanta
(22) Paolo Gobetti prefazione alla sceneggiatura di Prime bande, op. cit.
(23) P. Bianconi, op. cit. pag 14